(di Nicola Simonetti) Termoablazione e Radiologia Interventistica: presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, è operante un centro di eccellenza in grado di garantire un percorso-paziente con tutte le opzioni terapeutiche necessarie per il trattamento e la cura del paziente oncologico
Un salto in avanti a quattro piedi, ognuno dei quali si chiama: chirurgia, chemioterapia, radioterapia e, ultime venute, le terapie loco-regionali come la termo ablazione.
Una procedura, quest’ultima, che vede gli Italiani pionieri, e non a caso, poiché l’Italia vanta strutture, clinici e ricercatori all’avanguardia.
“Il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico – dice Mario Magheri, coordinatore della conferenza di presentazione tenuta a Roma – è diventato un vero e proprio polo di e si avvale di un tumor-board in grado di garantire il miglior percorso- paziente con tutte le opzioni terapeutiche necessarie per un approccio multidisciplinare della patologia.
Curativo, palliativo, aumento dell’efficacia del trattamento oncologico. Sono questi gli ambiti di applicazione della termoablazione. Studi di mercato prevedono un incremento del ricorso alle tecniche ablative nel periodo 2017-2024 stimabile in circa il 10,2 %. I motivi sono da ricercare nell’aumento dell’età media e dei tumori correlati e soprattutto sulla comprovata efficacia clinica di tali trattamenti”.
“Molteplici gli ambiti di applicazione di questa terapia. In particolare – dice il prof. Vincenzi, professore di oncologia Campus Biuomedico – tumori primitivi e secondari del fegato, tumori primitivi e secondari del polmone, tumori primitivi del rene, tumori dell’osso: (palliazione del dolore nelle metastasi, trattamento curativo di prima scelta nell’osteoma osteoide)”. L’indicazione – aggiunge il prof. Rosarui F. Grasso, responsabile della radiologia interventistica del policlinico campus Biomedivo – viene posta dopo lo studio del singolo caso effettuato nel corso di una delle riunioni settimanale dal tumor-board. A questo partecipano un oncologo, un chirurgo, un radioterapista e un radiologo interventista.
Introdotta negli anni ’90, la procedura della termoablazione percutanea per il trattamento di alcuni tipi di tumori ha visto una progressiva evoluzione delle tecnologie utilizzate, con l’obiettivo di raggiungere una sempre maggiore precisione, efficacia e sicurezza per il paziente.
Le tecniche di termoablazione sono basate sullo sviluppo di calore all’interno di una lesione ‘target’, raggiungendo una temperatura superiore a 60 gradi. In oncologia queste causano la denaturazione delle proteine intracellulari e la dissoluzione dei lipidi di membrana, provocando la morte cellulare. Queste procedure possono essere effettuate sia nei confronti di tumori primitivi, che secondari dei tessuti parenchimali (fegato, rene, polmone) e delle ossa.
Si tratta di una terapia mirata che, nonostante la sua mininvasività, deve essere praticata in un Centro ospedaliero in grado di poter garantire tecnologie avanzate, alti livelli di esperienza, un team multidisciplinare, e la possibilità di effettuare follow up nel tempo, per far sì che il paziente sia selezionato accuratamente, in modo da poter trarre il miglior beneficio da questo tipo di trattamento”.
“La termoablazione, a parte casi specifici come l’epatocarcinoma primario – dice il prof. Vincenzi – non è sostitutiva, ma complementare alla chirurgia tradizionale e ai trattamenti medici, ed ha indicazioni ben precise che considerano il volume, il numero e la localizzazione delle lesioni tumorali. Per questo motivo è fondamentale che il paziente sia preso in carico da un team multidisciplinare. L’importante definire l’appropriatezza terapeutica: capire, cioè, qual è il paziente giusto e il momento giusto per eseguire questa procedura.”
L’obiettivo è quello di controllare la malattia e ridurre la sintomatologia associata. Il focus resta il miglioramento della qualità di vita del paziente, insieme ad un incremento dell’aspettativa di vita e, dunque, a una riduzione della mortalità”.
“A seconda della tipologia del paziente – continua il Professor Grasso– possiamo porci differenti finalità: la ‘curativa’, quando si riesce ad eliminare la lesione (generalmente unica e sola), la “citoriduttiva”, eseguita su una massa tumorale importante, sia come singola lesione, sia lesioni multiple, al fine di agevolare l’efficacia della terapia farmacologica. Ultima ma non meno importante la finalità “palliativa”, tesa a migliorare la sintomatologia della malattia e, di conseguenza, la qualità di vita del paziente. Non si dimentichi, infatti, che il 20% dei pazienti con dolore oncologico ha un problema irrisolto e che, anche nei centri di radioterapia a più elevata tecnologia, la percentuale di pazienti che non risponde alla terapia radiante a scopo antalgico è sempre del 20%.”.
Negli ultimi anni è, inoltre, emerso un altro punto di forza della termoablazione, che consiste nella sua capacità di causare un’importante risposta infiammatoria capace di stimolare il sistema immunitario a reagire contro le cellule tumorali ancora presenti nell’area, riducendo, quindi, anche lesioni non trattate.
Importante sottolineare, poi, che la termoablazione viene effettuata anche nei tumori “benigni”, particolarmente della tiroide e dell’utero.
Utile, in casi specifici, la crioablazione che consente, tramite l’inserimento di criosonde, di congelare il tumore determinandone la necrosi. Quest’ultimo trattamento trova particolari indicazioni nel trattamento dei tumori del rene e nella palliazione del dolore dell’osso.
“I benefici di questa tecnica per il paziente oncologico riguardano prevalentemente il fatto che è una metodica meno cruenta della chirurgia tradizionale, più rapida, meno dolorosa, è ripetibile in caso di recidive. Riduce le giornate di degenza e il periodo di malattia, con una conseguenza diminuzione dei costi diretti e indiretti, a vantaggio anche del Sistema Sanitario Nazionale – dice il prof. Grasso – I nostri pazienti vengono trattati in sedazione profonda ed in alcuni casi anche in anestesia generale. La degenza è generalmente di 1 o 2 giorni. Eliminando l’anestesia generale, si possono trattare tutti i pazienti altrimenti non eleggibili ad altre terapie per l’età avanzata o per la presenza di comorbilità.”
Per alcuni tipi di tumore come l’epatocarcinoma primario (HCC) con dimensioni inferiori ai 3 cm, le Linee Guida delle Società Scientifiche nazionali e internazionali, hanno stabilito che il trattamento di termoablazione con radiofrequenza o microonde è equivalente alla chirurgia tradizionale.
Per quanto riguarda il tumore renale sotto i 3 cm il successo clinico della termoablazione è intorno al 98%.
“E’ importante che il paziente e l’opinione pubblica siano consapevoli del fatto che stiamo parlando di una metodica consolidata, recepita dalle Linee Guida delle Società Scientifiche nazionali ed internazionali, con una robusta letteratura scientifica che ne sostiene l’efficacia e la sicurezza.”
Le criticità riguardano il fatto che non ci sia ancora un’informazione appropriata e diffusa della procedura e che non sia garantito un accesso equo alla terapia in tutte le Regioni e non ci siano percorsi specifici.