Fonti accreditate e servizi stranieri da anni stanno monitorando l’attività criminale di piccoli gruppi di delinquenti, anche di piccolo calibro che starebbero in affari con l’organizzazione terroristica libanese. La regia di tutto sarebbe l’Iran.
Alla fine l’ayatollah iraniano Mohsen Araki, numero due della Guida Suprema Ali Khamenei, è riuscito a tenere un comizio in Brasile. Lo ha fatto il 29 luglio a Sao Paulo, a pochi giorni di distanza dal 23° anniversario dell’attentato a Buenos Aires alla sede dell’AMIA, l’Associazione mutualità israelita argentina, colpita il 18 luglio del 1994 da un furgone carico di tritolo. Nell’attacco morirono 85 persone. Fu il più violento attentato contro una comunità ebraica dopo la seconda guerra mondiale.
Dunque una data simbolica quella scelta da Araki per venire a tenere il suo discorso in un Paese come il Brasile dove la comunità libanese nei prossimi anni potrebbe arrivare a contare circa 20 milioni di musulmani. Una venuta, quella di Araki, che dopo aver scatenato polemiche e smentite si è alla fine concretizzata in un discorso di una ventina di minuti, seguito anche dalla stampa.
E così il leader religioso collegato ai libanesi di Hezbollah, lo stesso che in passato ha predicato senza mezzi termini la distruzione di Israele, è venuto a illuminare i suoi discepoli sul tema “I musulmani e la lotta al terrorismo radicale”. Tra i punti salienti del suo discorso la difesa delle organizzazioni terroristiche palestinese e libanese Hamas ed Hezbollah, soprattutto in relazione ai recenti fatti di Gerusalemme, e la critica agli Stati Uniti, accusati di finanziare gruppi terroristici con evidente riferimento all’ISIS. Critiche sono state rivolte anche alle monarchie sunnite del Golfo Persico, che avrebbero avuto «invidia della pace che c’era in Siria e per questo l’hanno distrutta».
Fin dal suo arrivo all’aeroporto di Sao Paulo, Araki è stato accompagnato dall’iraniano Taleb Khazraji, imam di una delle due moschee del quartiere Bràs. Il nome di questo imam non è nuovo alle cronache sudamericane. Nel 2013 era stato citato dal procuratore argentino Alberto Nisman in un dossier in cui si rivelavano nomi e cognomi di chi in America Latina fa proselitismo per conto del governo di Teheran. Tre anni prima, nel 2010, a chiamarlo in causa era stato invece il Dipartimento del Tesoro statunitense denunciandone i legami diretti con Hezbollah.
Il comizio di Araki a Sao Paulo, al di là dell’evento in sé, desta un “warning” se si considera la presenza di Hezbollah in Sudamerica, e nello specifico in Brasile. Oltre alla rinomata Triple Fronteira, la frontiera tra Paraguay, Brasile e Argentina, regione transfrontaliera popolata da una forte comunità libanese, numerose sono le informazioni che denunciano una penetrazione del movimento sciita in alcuni degli snodi cruciali del Paese: politica, commercio e, soprattutto, traffici illeciti.
Secondo l’organizzazione non governativa Foundation for Defense of Democracies il PCC (Primeiro Comando da Capital), ovvero la fazione criminale al momento più potente del Brasile, starebbe mantenendo relazioni commerciali con Hezbollah. Al gruppo terrorista i criminali brasiliani venderebbero cocaina acquistata nei Paesi limitrofi ma anche prodotti di contrabbando e benzina. Inoltre, la Polizia Federale brasiliana nel 2014, secondo una rivelazione pubblicata dal quotidiano carioca O Globo, aveva già evidenziato nell’ambito dell’operazione Spectro contatti tra membri del PCC e di Hezbollah all’interno delle carceri brasiliane.
A dimostrazione di come la partita sia davvero complessa e sempre più ramificata, recentemente è finita nel mirino degli investigatori la brasiliana Taurus, la più grande società produttrice di armi in America Latina. Secondo le accuse dei giudici del Rio Grande do Sul, la Taurus avrebbe venduto un lotto di 8000 armi allo yemenita Fares Mohamed Mana’a, considerato dalle Nazioni Unite uno dei più grandi trafficanti di armi al mondo.
L’aspetto che desta maggiore preoccupazione è che i gruppi terroristici si stanno ramificando in tutto il mondo al fine di reperire denaro e quindi armi, per la lotta armata nei territori storici di interesse religioso e strategico.