Tracce dell’Alzheimer nei nostri occhi?

Anche se ancora non esiste cura per l’Alzheimer, i ricercatori stanno lavorando instancabilmente per sviluppare nuovi metodi di diagnosi precoce per questa devastante malattia. Un nuovo studio sembrerebbe ora indicare che tale sindrome possa essere rilevata, addirittura due decenni prima dell’insorgere dei sintomi, attraverso un semplice test oculare.

Secondo gli esperti questo è il primo caso di un test efficace e non invasivo. Per decenni, infatti, l’unico modo per diagnosticare ufficialmente la condizione devastante è stato quello di analizzare il cervello di un paziente dopo la sue morte. Più di recente, i medici hanno utilizzato la tomografia ad emissione di positroni (PET) per scansionare il cervello di persone viventi e fornire la prova della malattia; ma tale tecnologia, oltre ad essere molto costosa, è anche fortemente invasiva: ai pazienti, infatti, deve essere iniettato un tracciante radioattivo.

Invece, lo studio dei neuroscienziati del Centro Medico Cedars-Sinai di Los Angeles ha scoperto che la malattia di Alzheimer influisce sulla retina dell’occhio in maniera simile al modo in cui colpisce il cervello. Il lavoro svolto dai ricercatori prevede quindi di analizzare la retina usando uno scanner ad alta definizione appositamente sviluppato; tale scanner permette di valutare se nella retina sono presenti, ed in che misura, le proteine ​​ritenute responsabili dell’Alzheimer.

Allo scopo di testare “sul campo” l’ipotesi di studio, il team di ricerca del Cedars-Sinai ha collaborato con analisti di NeuroVision Imaging, dell’Organizzazione per la Ricerca scientifica e industriale del Commonwealth, dell’Università della Southern California e dell’UCLA per condurre un trial su esseri umani. Sono stati quindi coinvolti 16 pazienti malati di Alzheimer, a cui è stata somministrata una soluzione contenente curcumina, uno dei componenti naturali della spezia curcuma. La curcumina induce una  sorta di “accensione” della placca amiloide nella retina, che quindi può essere rilevata dalla scansione. I pazienti sono stati quindi confrontati con un gruppo di individui più giovani e privi di problemi cognitivi.

L’analisi ha dimostrato che la presenza delle placche beta-amiloide nelle retine dei pazienti malati è, mediamente, del 40 per cento superiore al livello presente nelle retine di persone sane della stessa fascia d’età. Inoltre, l’analisi della retina di pazienti con demenza non correlata alla malattia di Alzheimer, ha mostrato che la presenza di placche beta-amiloide ricade nel normale range delle persone sane. Quindi, il controllo permetterebbe specificatamente di individuare la sindrome e non altre demenze.

Confrontando poi i risultati della scansione della retina con le PET del cervello, è emerso che il test dell’occhio è altrettanto valido nell’individuazione dell’ aumento della quantità di placca. Ossia, l’accumulo nella retina è strettamente correlato con quello nel cervello. La dottoressa Maya Koronyo-Hamaoui, del team di ricerca, ha quindi dichiarato che i risultati suggeriscono che la retina possa servire da fonte affidabile per la diagnosi di malattia di Alzheimer. “Uno dei maggiori vantaggi dell’analisi della retina è la ripetibilità, che ci permette di monitorare i pazienti e, potenzialmente, di seguire la progressione della loro malattia”, ha aggiunto la dottoressa. Visto poi che, secondo gli scienziati, la proteina inizia ad accumularsi decenni prima che i sintomi si presentino, il test potrebbe consentire un trattamento precoce della malattia.

C’è da dire, in ogni caso, che questa ricerca ha coinvolto solo un numero ristretto di persone ed è quindi troppo presto per essere sicuri al 100% che questo test sarà un giorno realmente efficace. I risultati però sono tali che la ricerca in questione è stata apprezzata in tutto il mondo, visto l’enorme potenzialità che racchiude.

Il dottor David Reynolds, responsabile scientifico del Dipartimento Britannico di Ricerca sull’Alzheimer, ha dichiarato: “L’individuazione delle modifiche nell’accumulo di proteina beta-amiloide attraverso metodi efficaci e facilmente accessibili rappresenta un promettente campo di sviluppo. Questo studio indica che è possibile individuare gli accumuli nella retina, utilizzando apparecchiature simili a quelli che già aiutano gli oculisti a diagnosticare problemi come il glaucoma o la degenerazione maculare.”

 

di Giovanni Calcerano

 

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