Teheran torna oggi a Vienna al tavolo delle trattative con un gruppo di funzionari provenienti dall’ala ultraconservatrice fedele al neo eletto presidente Ebrahim Raisi, notoriamente contrario al patto. Dall’altra parte del tavolo siedono i rappresentanti degli americani che con l’Amministrazione Biden vogliono riprendere i termini dell’accordo senza però mollare, da subito, la presa delle sanzioni economiche.
Gli Stati Uniti sono pronti ad inasprire le sanzioni e se necessario intraprendere anche una campagna militare, così come più volte accennato dal presidente Biden a margine del G20 di Roma con il francese Emmanuel Macron e la tedesca Angela Merkel.
As essere più netto l’inviato Usa in Iran Robert Malley: “Privilegiamo la soluzione diplomatica, pronti a rientrare nell’accordo e a revocare le sanzioni che lo riguardano. Ma se l’Iran pensa di prolungare le trattative con richieste radicali allo scopo di prendere tempo e accelerare il suo programma nucleare risponderemo di conseguenza”.
Nei giorni addietro il presidente iraniano Raisi ha affermato di non voler rinunciare al programma nucleare, accusando l’Aiea, l’agenzia nucleare Onu, di parzialità. Venerdì scorso ha anche annunciato un ulteriore incremento nell’arricchimento dell’uranio. Pur alle prese con una difficile crisi economica interna, l’Iran si sente infatti in una posizione di forza. Raisi, secondo Foreign Affairs sta prendendo tempo per portare avanti il programma nucleare al fine di consolidare alleanze con Russia e Cina al fine di rendere inefficaci le sanzioni di Washington.
Gli sforzi per rilanciare l’accordo sul nucleare iraniano del 2015 sono in una “fase critica” e le ragioni di Teheran per evitare i colloqui si stanno esaurendo. A riferirlo alla stampa fu mesi fa l’inviato speciale degli Stati Uniti per l’Iran, Robert Malley che ha aggiunto: “Washington è sempre più preoccupata che Teheran continui a ritardare il ritorno ai colloqui. Al riguardo abbiamo, però, altri strumenti per impedire che l’Iran sviluppi un’arma nucleare”.
“Siamo, pertanto, in una fase critica per rilanciare il JCPOA – Joint Comprehensive Plan of Action – “, ha detto Malley. “Abbiamo avuto una pausa di molti mesi e le ragioni ufficiali fornite dall’Iran per cui siamo in questa pausa sono molto scarse”, ha precisato l’inviato Usa.
Il ritorno all’accordo porterà a benefici economici per Teheran, enfatizza Malley, perché verrebbero allentate le sanzioni economiche di Stati Uniti, Unione Europea e Nazioni Unite.
Il presidente Donald Trump si ritirò dall’accordo tre anni fa, riattivando tutte le sanzioni revocate e aggiungendo più di 1.500 misure restrittive. In risposta, l’Iran ha notevolmente aumentato la sua attività nucleare andando ben oltre i limiti dell’accordo.
Il presidente Biden, invece, ha invertito la rotta di 360° per un ritorno degli Stati Uniti all’accordo. L’Iran però ha rifiutato di incontrare direttamente i negoziatori statunitensi, guidati dall’inviato speciale Robert Malley, ma ha acconsentito a colloqui indiretti in un luogo terzo, ovvero Vienna.
L’obiettivo dell’accordo originale era quello di limitare le attività di arricchimento dell’uranio da parte dell’Iran e di imporre ispezioni e verifiche rigorose, senza preavviso, da parte dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
L’Iran, nel frattempo, sta continuando ad aumentare l’arricchimento dell’uranio oltre la soglia del 20% in un impianto di Natanz dove si è già raggiunti già il 60% di purezza.
Gli analisti sostengono che il ritorno dell’Iran ai limiti previsti dal JCPOA è perseguibile facilmente anche se vi è una forte preoccupazione per le conoscenze fatte dagli scienziati iraniani in questi tre anni in cui hanno accelerato le attività di arricchimento dell’uranio.