Trump su Canada, Groenlandia e Panama non può violare il “Trattato di Rio”

di Giuseppe Paccione

Le dichiarazioni di Donald Trump, al suo secondo mandato alla Casa Bianca, sulla politica estera della sua amministrazione nei riguardi del Canada, del Canale di Panama e della Groenlandia hanno messo in allarme la comunità internazionale e molte cancellerie di vari Paesi, tra cui quella di Copenaghen, Ottawa e Città di Panama, suscitando una costernazione internazionale. Nei proclami del nuovo inquilino alla guida dello Stato a stelle e a strisce, si parla delle annessioni dei territori canadese, groenlandese e panamense (con riferimento al canale), la prima tramite l’impiego della coercizione di forza economica, mentre le altre due con la possibilità di ricorrere allo strumento dello jus ad bellum, cioè dell’impiego della forza militare. Discorsi trumpiani che sono bastati per far scattare le varie risposte dai vari leader stranieri, come il governo di Berlino che ha invitato Trump al rispetto del principio dell’inviolabilità dei confini che si applica a tutti i Paesi, il governo di Parigi che ha affermato che l’Unione europea non permetterà ad altre Nazioni di attaccare i propri confini sovrani, sebbene la Groenlandia è territorio danese e, dunque, parte integrante dell’UE. Le mere dichiarazioni del presidente Trump non fanno altro che indebolire i fondamenti di un esistente trattato regionale, considerato baluardo contro l’aggressione militare nelle aree considerate. 

L’amministrazione Trump, a parere dello scrivente, in mezzo a giustificate ragioni di sfacciati piani imperialisti, farebbe bene a considerare i suoi obblighi, rispettando le norme della Convenzione di Vienna sul Diritto dei Trattati, per tutelare i territori interessati. Non ci si riferisce in questo caso al Trattato Nord Atlantico del 1949, visto che sia il Canada, sia il Regno di Danimarca – sotto cui la sua giurisdizione ricade sulla Groenlandia – sono membri della NATO, l’articolo 5 del Patto atlantico vincola tutti gli Stati membri, compreso gli Stati Uniti, ad assistere tali alleati qualora siano vittime di un attacco armato contro di loro. Gli obblighi giuridici che l’amministrazione del rieletto Trump potrebbe avere nei riguardi del Canada, della Groenlandia e di Panama fanno riferimento a un Trattato antecedente e precursore di quello della NATO, cioè, il Trattato interamericano di assistenza reciproca del 1947, conosciuto anche come Trattato di Rio, rammentando che proprio la Confederazione degli Stati Uniti d’America non solo è membro a pieno titolo, ma è stato anche il fondatore di tale accordo internazionale, a carattere regionale.

Concepito, mentre era in corso nel continente europeo il II conflitto Mondiale, e edificato su precedenti documenti come la Dichiarazione di Panama del 1939, la Dichiarazione dell’Avana del 1940 e l’Atto di Chapultepec del 1945, questi strumenti interregionali delle Americhe volti a proteggere i loro popoli dal conflitto europeo in corso, il Trattato di Rio è stato caratterizzato come la multilateralizzazione della Dottrine Monroe, a causa del suo principio sovraordinato di solidarietà continentale dinnanzi a un attacco armato contro qualsiasi Stato situato nell’emisfero occidentale.

Il Trattato di Rio, di certo, fornisce un’architettura giuridica per la difesa collettiva del continente americano, basato sul parametro della solidarietà continentale, analogamente a quanto prevede il Patto euro-atlantico. Il Trattato di Rio, difatti, al suo articolo 3, paragrafo 1, recita che «Le Alte Parti contraenti convengono che un attacco armato da parte di qualsiasi Stato contro uno Stato americano sarà considerato come un attacco contro tutti gli Stati americani e, di conseguenza, ciascuna delle suddette Parti Contraenti si impegna a contribuire a fronteggiare l’attacco nell’esercizio del diritto intrinseco di autodifesa individuale o collettiva riconosciuto dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite». Questo Trattato, tuttavia, oltre a considerare fondamentale l’esercizio del diritto di autotutela da un attacco armato, amplia le basi per l’attivazione dello strumento di mutua difesa.

Le condizioni per la messa in moto di questo patto di legittima difesa collettiva, pur fondandosi sulla classica giustificazione dell’attacco armato enucleato dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, in base al quale «nessuna disposizione del presente Statuto pregiudica il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva, nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni Unite, fintantoché il Consiglio di Sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale. Le misure prese da Membri nell’esercizio di questo diritto di autotutela sono immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza e non pregiudicano in alcun modo il potere e il compito spettanti, secondo il presente Statuto, al Consiglio di Sicurezza, di intraprendere in qualsiasi momento quell’azione che esso ritenga necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale», sono anche piuttosto espansive, sebbene coprono atti di aggressione che potrebbero non essere considerati attacchi armati. Come non rispolverare un caso relativo agli attacchi terroristici del 11 settembre 2001, in cui venne attivato il Trattato di Rio per la sicurezza dell’intero continente americano.

Le misure che possono essere intraprese per respingere attacchi o atti di aggressione sono disciplinate dall’articolo 8 del Trattato di Rio, che rispecchia la logica di escalation strutturata all’interno degli articoli 41 e 43 del Capitolo VII della Carta onusiana, enunciando che «ai fini del presente trattato, le misure sulle quali l’organo di consultazione può concordare comprenderanno una o più delle seguenti: richiamo dei capi delle missioni diplomatiche; rottura delle relazioni diplomatiche; rottura delle relazioni consolari; interruzione parziale o totale delle relazioni economiche o delle comunicazioni ferroviarie, marittime, aeree, postali, telegrafiche, telefoniche e radiotelefoniche o radiotelegrafiche; e uso della forza armata». Va evidenziato in questo articolo che tali misure, adottate dall’organo di consultazione dei Ministri degli Esteri degli Stati parte al Trattato di Rio, hanno carattere vincolante, con la sola eccezione che nessuno Stato sarà tenuto ad intraprendere la forza manu militari senza il proprio consenso (art.20). Con questo modus operandi, è stato sottolineato che il trattato ha in questo modo convertito il diritto alla legittima difesa collettiva nell’emisfero occidentale in un obbligo.

È stato già detto prima che gli Stati Uniti sono fondatori del Trattato citato e, pertanto, membri a pieno titolo, ma anche vincolati da esso, così come lo è Panama; invece il Canada e la Danimarca non lo sono. Gli Stati Uniti, dunque, si devono attenere agli obblighi del Trattato ovunque si verifichino le suddette condizioni che innescano il funzionamento del Trattato stesso.

Circa la sua portata territoriale, dinanzi all’eventuale espansionismo neo-imperialista statunitense, l’articolo 4 del Trattato di Rio pianamente delinea i contorni di una zona di sicurezza interamericana che si estende dal Polo Nord al Polo Sud, comprendendo l’intera America e i Caraibi, così come la Groenlandia, ma escludendo l’isola islandese. Questo sta ad indicare che, a prescindere se siano firmatari o meno del Trattato di Rio, anche gli Stati canadese e danese [per quanto concerne il suo territorio groenlandese] sono incorporati nel contesto territoriale del Trattato stesso, un punto giuridico cruciale che non è stato abbastanza dibattuto nell’attuale controversia.

Le dichiarazioni di Trump si rivolgono ampiamente a uno dei principali motori della sua spinta espansionistica che riguarda la sicurezza nazionale. Forse Trump dimentica che tale interesse vitale relativo al dare al proprio Paese maggiori garanzie di sicurezza interna è già nel cuore dell’accordo di Rio che prevede proprio la sicurezza collettiva, comprendendo il territorio canadese, groenlandese e panamense, tutti luoghi in cui gli Stati Uniti potrebbero già trovarsi de jure obbligati a rispettare sia il principio pacta sunt servanda [gli accordi vanno rispettati ed onorati], sia le misure adottate dagli Stati parti del Trattato di Rio, qualora una minaccia alla sicurezza nazionale e continentale si materializzi nell’emisfero occidentale. L’accordo di Rio non necessita di altri chiarimenti, poiché asserisce che qualsiasi altro fatto o situazione, che potrebbe mettere in pericolo la pace dell’intero continente delle Americhe, può far scattare le valvole o misure di sicurezza comminate nel documento vincolante di Rio. Il Trattato di Rio, quale strumento di sicurezza collettiva e scudo da attacchi armati esterni, è progettato per fornire la medesima sicurezza agli stessi Stati Uniti, non solo ma è anche progettato per salvaguardare gli interessi statunitensi e della regione lato sensu contro aggressioni straniere che possono giungere nella parte dell’emisfero occidentale.

Se si guarda ai precedenti storici della prassi degli Stati, si può ricordare quando tale Trattato non è stato attivato in modo efficace durante la guerra delle isole Falkland/Malvinas fra il Regno Unito e l’Argentina, probabilmente per la mera ragione che l’attacco militare, in quella occasione, è stato avviato da un dittatore argentino contro una Potenza europea, che era alleata degli Stati Uniti. È stato, però, attivato nel 2019 con lo scopo di fare pressione politica ed economica su Maduro in Venezuela, ma con scarsi risultati. Il Trattato di Rio è stato attivato durante alcuni dei momenti più critici della storia americana, quando si sono verificate minacce esistenziali alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti e, di conseguenza, alla sicurezza dell’intero continente, nel 1962, nel mezzo della crisi missilistica cubana.

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