di Massimiliano D’Elia
La decisione di aderire alla NATO è probabilmente stata la scelta migliore fatta dalla Turchia in politica estera, considerando il suo ricco retaggio storico, caratterizzato dalle contraddizioni culturali, sociali e religiose tra Occidente e Oriente. La Turchia è stata accettata nell’Alleanza nel 1952 insieme alla Grecia, poiché l’amministrazione Truman credeva che contenere il comunismo in Europa non fosse possibile senza la loro partecipazione.
Durante la guerra fredda, l’appartenenza alla NATO ha protetto la Turchia dall’invasione dell’ex Unione Sovietica e ha contribuito al suo sviluppo economico, in linea con i paesi occidentali.
Oggi, durante l’era Erdogan, i rapporti con la NATO si sono spesso inclinati, raggiungendo picchi di tensione incomprensibili. Molti membri dell’Alleanza si chiedono se sia ancora opportuno avere un paese così controverso tra le sue fila. I diplomatici turchi, nei vari think tank sottolineano l’abilità delle generazioni di uomini di stato turchi che hanno lavorato instancabilmente per mantenere al sicuro Ankara. Ad esempio, la leadership di Ismet Inonu è stata fondamentale per evitare che la Turchia fosse coinvolta nella Seconda guerra mondiale e invasa dalla Germania nazista, pur rimanendo un alleato dell’Occidente.
Il regime kemalista è stato abbastanza lungimirante da evitare coinvolgimenti in conflitti internazionali, soprattutto per preservare lo sviluppo economico. Oltre alla destrezza diplomatica, l’appartenenza alla NATO ha permesso alla Turchia di perseguire i suoi obiettivi di sviluppo garantendo nel contempo sicurezza e resilienza.
L’atteggiamento proattivo della Turchia nei confronti delle missioni cruciali della NATO, come Kosovo e Afghanistan, le ha conferito una voce autorevole nell’Alleanza. Di conseguenza, varie amministrazioni statunitensi hanno prestato attenzione alle preoccupazioni di sicurezza di Ankara, inclusi il separatismo curdo e le minacce dalla Russia di Vladimir Putin. Nel novembre 2015, dopo che la Turchia ha abbattuto un caccia russo nello spazio aereo turco (il primo caso da parte di un paese NATO dal 1952), Putin ha dovuto riflettere attentamente su come rispondere militarmente ad un paese membro della NATO.
Senza l’appartenenza alla NATO, è plausibile che la Turchia avrebbe potuto subire una sorte simile a quella dell’Ucraina dal 2014. Secondo alcuni sondaggi del 2022, la maggioranza della popolazione turca percepisce gli Stati Uniti come la principale minaccia, mentre solo il 19% vede la Russia allo stesso modo. Sotto la guida di Erdogan, la Turchia ha costantemente cercato di compromettere la sicurezza della NATO attraverso una serie di iniziative imprudenti. Queste azioni sembrano mirare esclusivamente a attirare maggiore attenzione, con l’obiettivo di preservare una rilevanza internazionale considerata essenziale per avanzare richieste continue. La Turchia ha adottato un approccio ambiguo come suo marchio di riferimento internazionale, suscitando sospetti e diffidenza da parte della comunità occidentale.
In merito alla questione dell’adesione scandinava nella NATO, Erdogan ha osteggiato la ratifica, così come l’acquisto del sistema di difesa missilistica russo S400, che ha temporaneamente escluso la Turchia dal programma multinazionale F-35. Lo scorso agosto è avvenuta la consegna del primo F-35 all’aeronautica turca, nell’ambito di un ordine che prevede 100 caccia nei prossimi anni, di cui 30 sono stati già approvati. La Turchia fa parte del programma F-35 dal 1999, e l’industria della difesa turca ha assunto un ruolo attivo nella produzione di velivoli, investendo 1,25 miliardi di dollari nello sviluppo dell’aeromobile.
In conclusione, la Turchia non solo non dovrebbe, ma non può abbandonare la NATO. La sua politica,, talvolta ambigua, può rappresentare un elemento di forza per l’Alleanza, soprattutto in un crocevia internazionale che è diventato cruciale per gli equilibri regionali nel Mediterraneo Allargato.
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