(di Filippo Moreschi, avvocato e socio AIDR) A un sommario sguardo storico è la città, e non la campagna, il luogo dello sviluppo della scienza e della tecnica.
La campagna, con le dovute eccezioni, è il luogo della lentezza, della tradizione, ma anche spesso del ritardo nello sviluppo e nell’applicazione delle nuove tecnologie. Ormai certo è il contributo di molte pratiche agricole non innovative all’inquinamento delle matrici ambientali e al consumo di suolo.
Tant’è vero che il World Economic Forum, in un articolo pubblicato lo scorso 10 febbraio, sottolinea che sono proprio le emissioni in agricoltura a minacciare il conseguimento degli obiettivi dell’accordo di Parigi sul clima.
Ora, nell’era del digitale e delle grandi sfide ambientali, questa lettura sembra rovesciarsi.
È possibile, oggi, pensare alle zone rurali quali sentinelle avanzate dello sviluppo digitale e della tutela ambientale?
Più di un segnale sembra suggerire una risposta affermativa a questa domanda.
Una recente sentenza del Consiglio di Stato – pubblicata nel dicembre scorso – ha affermato il principio per cui anche l’Autorizzazione integrata ambientale di una discarica per rifiuti speciali non pericolosi deve confrontarsi con l’esistenza, nel territorio di insediamento, di una zona a speciale vocazione vitivinicola (nel caso specifico, la DOC del “Cacc’e mmitte” di Lucera). A fondamento della pronuncia, secondo il Giudici di Palazzo Spada, è la norma del Piano di Gestione dei Rifiuti Speciali della Puglia che proclama l’incompatibilità tra tali impianti e le aree agricole di pregio, individuate dai disciplinari di produzione.
Analoghe previsioni, peraltro, si ritrovano in altri Piani Regionali di Gestione Rifiuti, come quello toscano, adottato nel 2014 e integrato con delibera del Consiglio regionale n. 55/2017.
Ancora, il T.A.R. Lazio, all’inizio del 2020, in tema di Valutazione di Impatto Ambientale dei lavori per l’Alta velocità sulla tratta Milano-Verona, ha censurato l’inottemperanza alle prescrizioni dettate dal CIPE che imponevano la preventiva stipulazione di un protocollo di intesa con le principali organizzazioni dei produttori dell’area vitivinicola DOC interessata da una tratta dei lavori. Il protocollo, nell’ottica dei Giudici amministrativi, doveva riguardare sia la semplice determinazione delle indennità di esproprio dei terreni sia, soprattutto, la ponderazione dei diversi interessi implicati nella realizzazione dell’opera. Il Tribunale motiva tale decisione facendo riferimento espresso alla norma dell’art. 1 della L. 238/2016 (il c.d. “Testo Unico” del Vino) che definisce i territori viticoli “patrimonio culturale nazionale da tutelare e valorizzare negli aspetti di sostenibilità sociale, economica, produttiva, ambientale e culturale”.
Sembra affermarsi dunque, nella consapevolezza del legislatore (nazionale e regionale) e nella considerazione della giurisprudenza, il principio che le zone da cui derivano produzioni agricole di pregio, specialmente se geograficamente delimitate dai disciplinari di produzione dei prodotti DOP o IGP, debbano ricevere una tutela potenziata, perché espressione di valori economici, produttivi, sociali, ambientali e culturali.
A un esito non diverso si giunge considerando l’attenzione particolare dedicata dal legislatore alle ZEA, le Zone Economiche Ambientali, istituite con il Decreto Legge 111/2019. Esse coincidono con il territorio dei parchi nazionali ed hanno lo scopo di “favorire in tali aree investimenti orientati al contrasto ai cambiamenti climatici, all’efficientamento energetico, all’economia circolare, alla protezione della biodiversità e alla coesione sociale e territoriale e di supportare la cittadinanza attiva di coloro che vi risiedono”.
In questa prospettiva, le ZEA dovranno diventare, progressivamente, territori dove converrà investire, abitare, lavorare, vivere, viaggiare, e ciò attraverso sgravi fiscali, vantaggi economici e agevolazioni amministrative.
Il recente Regolamento “transitorio”, che detta le disposizioni relative al sostegno da parte del Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR) e del Fondo europeo agricolo di garanzia (FEAGA) negli anni 2021 e 2022 (Reg Ue 2020/2220 del 23/12/2020), destina cospicue percentuali dei fondi strutturali stanziati nel settore agricolo allo sviluppo economico e sociale delle zone rurali ed alla ripresa economica resiliente, sostenibile e digitale, per mezzo delle filiere corte e dei mercati locali, dell’agricoltura intelligente; preme per il ricorso alle energie rinnovabili ed a forme di economia circolare; finanzia l’accesso a tecnologie dell’informazione e della comunicazione di elevata qualità nelle zone rurali (art. 7, paragrafi 4 e 5).
Questi indirizzi trovano coerenza col documento della Commissione Europea relativo all’elaborazione della nuova Politica Agricola Comunitaria dal titolo “List of potential AGRICULTURAL PRACTICES that ECO-SCHEMES could support”, pubblicato a gennaio di quest’anno ed inserito negli obiettivi del Green Deal della UE.
Tra i vari scopi indicati nel documento, molti dei quali legati alla sostenibilità, l’Unione Europea ravvisa la necessità di riportare entro il 2030 almeno il 10% della superficie agricola a caratteri di alta diversità paesaggistica.
Secondo la Commissione, ciò deve avvenire per mezzo di buone pratiche, molte delle quali basate sulle nuove tecnologie e sull’agricoltura di precisione, al fine di ridurre il consumo di risorse non rinnovabili, di pesticidi e l’inquinamento dell’acqua, dell’aria e del suolo e favorire l’agricoltura circolare.
Si assiste pertanto a una decisa convergenza di attenzione e di programmi: le nuove tecnologie devono favorire la migliore agricoltura per meglio tutelare e conservare le zone rurali, la loro biodiversità, la loro economia e la qualità paesaggistica ed ambientale dei luoghi, associandole alle produzioni di qualità, allo sviluppo demografico, economico ed al turismo. Una nuova centralità del settore agricolo determinata dalla crescente consapevolezza della sua decisività per la sicurezza alimentare, la lotta ai cambiamenti climatici, lo sviluppo sostenibile.