Il capo dell’Intelligence esterna italiana Alberto Manenti è andato di corsa a Mosca per risolvere una questione molto delicata.
In ballo c’era la partecipazione dell’uomo forte della Cirenaica, il gen. Kalifa Haftar al vertice di Palermo.
Haftar non voleva sedersi allo stesso tavolo con il neo ministro dell’Interno del governo di accordo nazionale Bishaga, rappresentante di Misurata della frangia appartenente alla poco gradita Fratellanza Musulmana.
Il direttore dell’AISE, Alberto Manenti è volato con urgenza a Mosca per incontrare il braccio destro di Al Sarraj, e convincerlo a non far intervenire a Palermo il neo ministro dell’interno Bishaga. Avute le necessarie assicurazioni il generale kalifa Haftar sarà a Palermo animato, tuttavia, da molta diffidenza. L’incontro di Haftar, con il ministro della difesa russo dei giorni scorsi a Mosca, è risultato molto proficuo per convincerlo ad intervenire a Palermo. Ad oggi c’è un’altra ferita da ricucire: il numero due del Consiglio presidenziale Maetig, il misuratino amico storico dell’Italia che parla col Cairo attraverso gli uffici militari di Salem Juha non ha ricevuto alcun invito per il vertice di Palermo.
Il governo italiano in questa fase ritiene quali prinicpali attori, per l’atteso vertice, solamente Haftar, Al Sarraj, il presidente del parlamento di Tobruk Saleh e il capo del Consiglio di Stato Al Mishri, vicino alla Fratellanza.
Tuttavia Al Sarraj si porterà i due vice, quindi anche Maetig nel suo ruolo politico (questo mitigherà il suo palesato acredine).
Non verranno la Merkel e Macron ma ci sarà il ministro degli Esteri francese, il premier algerino, probabilmente Al Sisi, i presidenti di Ciad e Niger, la Turchia, un’alta rappresentanza spagnola e una delegazione libica (28 persone). Washington non manderà Mike Pompeo ma ha deciso di mandare il suo sottosegretario più importante, David Hale, inviato Usa per il Medio Oriente. La Russia manderà, quindi, il vice ministro russo Mikhail Bogdanov, potente plenipotenziario di Putin in Medio Oriente.
La Francia e l’Italia, stranamente, stanno collaborando. In settimana alti funzionari dell’Eliseo hanno incontrato a Roma i colleghi italiani e i misuratini invitati ieri a Parigi verranno oggi a Roma.
Scongiurate le elezioni il prossimo 10 dicembre come avrebbe voluto la Francia si augura che al termine del vertice si riesca a stabilire una “road map” che porti la Libia ad elezioni davvero democratiche. Ieri all’Onu è stato presentato il “Piano Salamè”, dove si è deciso che il “concetto strategico” di Palermo sarà firmato da Salamè, appunto, e le elezioni si terranno la prossima primavera.
Piano Salamè
Il primo pilastro è il progetto per la messa in sicurezza della capitale, che prevede la formazione di una forza istituzionale che dovrebbe progressivamente andare a sostituire le milizie per il controllo del territorio. “Il nuovo Tripoli Security Arrangements Committee ha preparato un piano di sicurezza globale per la capitale Tripoli che è stato adottato dal Consiglio presidenziale, ha affermato l’inviato dell’Onu per il Paese nordafricano, sottolineando che dovrebbero essere “forze di polizia disciplinate e regolari a proteggere la città, non le milizie”. In questo scenario, la Conferenza di Palermo “è un’occasione per gli Stati membri di offrire sostegno concreto nell’addestramento di forze di sicurezza professionali” in modo che i libici siano aiutati a “voltare pagina rispetto alla loro dipendenza dai gruppi armati per la propria protezione”. Gruppi armati protagonisti lo scorso settembre di violenti scontri a Tripoli, costati la vita a oltre 120 persone, e con cui l’inviato Onu ha negoziato un accordo di cessate il fuoco, seguito da un piano globale per la sicurezza della capitale libica. L’intesa, ha spiegato Salamé, mira a “fare in modo i gruppi armati che operano nella città smettano di intimidire o controllare le istituzioni e che, a lungo termine, Tripoli sia protetta da forze di polizia regolari e disciplinate”. E “il successo nella capitale è cruciale, non solo perché ospita gran parte delle istituzioni governative e il 30% della popolazione libica, ma anche perché quello che funziona a Tripoli può essere un modello da replicare in altre città del Paese”, ha detto il diplomatico Quindi, sul fonte economico, ha spiegato che il vertice in Sicilia è l’occasione per ottenere più supporto pratico sulla redistribuzione delle ricchezze nazionali, e che non si arriverà alla stabilità nel Paese finché i libici combattono per le risorse.
Perché se è vero che la Libia è un Paese ricco, come scrive Huffington Post, grazie al petrolio, e che solo nella prima metà dell’anno ha registrato profitti per oltre 13 miliardi di dollari, tuttavia “i libici sono sempre più poveri mentre i criminali che ricorrono alla violenza e al clientelismo rubano miliardi dalle casse nazionali”. Tuttavia, proprio gli scontri di settembre hanno offerto “un’opportunità unica” di avviare riforme economiche volte a migliorare le condizioni di vita dei libici e a ridurre le opportunità di guadagno delle milizie, riducendo il grosso divario tra il tasso di cambio ufficiale e quello del mercato nero, che ha consentito a pochi di arricchirsi, e fronteggiando la mancanza di liquidità nelle banche, che costringe i libici a lunghe file fuori dagli istituti di credito. “Questo è stato solo il primo passo – ha puntualizzato l’inviato Onu – è necessario fare di più per normalizzare ulteriormente la situazione”, favorendo la graduale revoca delle sovvenzioni sulla benzina, che hanno consentito ai “trafficanti di accumulare miliardi di dinari”, ma soprattutto “promuovendo la riunificazione” della Banca centrale e delle istituzioni finanziarie. Una riunificazione delle istituzioni finanziarie che passa necessariamente da una decisione politica sulla riunificazione del Paese, oggi spaccato tra due governi, quello di Tripoli, a Ovest, e quello di Beida, a Est. Il terzo cardine del piano riguarda infatti il percorso istituzionale su cui la Libia deve incamminarsi, con la convocazione di una Conferenza nazionale che “deve essere tenuta nelle prime settimane del prossimo anno”. Un Congresso che dovrebbe essere altamente rappresentativo coinvolgendo tutte le realta’ politiche del Paese: “E’ il momento di dare la possibilità ad un gruppo più ampio e più rappresentativo di libici di incontrarsi sul territorio senza interferenze esterne”, ha spiegato Salamé. “Ma il Congresso non sarà una nuova istituzione e non vuole sostituire altri organi legislativi”. “Il conseguente processo elettorale”, invece, “dovrebbe essere nella primavera 2019”. “Dagli ultimi rapporti “l’80% dei libici insistono per avere elezioni il prima possibile”, ha aggiunto Salamé.
Secondo fonti dell’Onu le elezioni parlamentari dovrebbero dare vita ad un nuovo organo legislativo, con ad una progressiva sostituzione del Parlamento di Tobruk ma anche dell’Alto Consiglio di Stato di Tripoli. Il nuovo Parlamento dovrà quindi emendare la Costituzione vigente e al contempo lavorare su una legge elettorale in vista delle presidenziali, anche se in termini di tempo non si sa quanto questa fase potrebbe richiedere. Nell’ipotesi migliore si parla dell’inizio 2020. A quel punto, oltre a garantire stabilita’ al Paese, con un presidente e un governo eletti, la Libia avrebbe tutti quei requisiti di democrazia per liberare risorse ora bloccate con l’embargo. Durante le discussioni sul piano al vertice in Sicilia si cercherà di costruire il massimo consenso possibile da parte dei partner internazionali: “l’unità della comunità internazionale è cruciale se vogliamo stabilità in Libia”, ha detto Salamé. Una linea sposata in pieno dal ministro degli Esteri italiano e sostenuta anche da alcuni importanti attori globali e regionali impegnati, in varia misura e con referenti interni diversi, sul fronte libico: Usa, Russia, Gran Bretagna, Egitto, Turchia, Emirati Arabi Uniti, sia pure con determinazioni differentemente modulate, sostengono il “Piano S”.
Due giorni fa Salamé ha ricevuto il rapporto conclusivo delle consultazioni tenute da aprile a luglio con tutti i settori della società civile, in oltre 40 località di tutta la Libia, così come con i gruppi della diaspora residenti all’estero. Stando al comunicato diffuso due giorni fa dall’Onu, le consultazioni hanno coinvolto oltre 7.000 libici, mentre milioni di altri hanno seguito il processo attraverso i social o i media tradizionali. E’ l’inclusione su cui ha da sempre insistito Moavero, e che il premier Conte ha fatto propria, rilanciandola nelle missioni che lo hanno portato a Washington, a Mosca e, più recentemente, in Tunisia e Algeria.
Un rapporto del Ce.S.I (Centro Studi Internazionali) a cura di Lorenzo Marinone: “Il periodo di tempo trascorso dalla rottura dell’unita’ istituzionale del 2014, da cui erano sorti i Parlamenti rivali di Tripoli e di Tobruk, ha visto un peggioramento netto del quadro politico, securitario, economico e sociale del Paese. La macro-divisione tra Est e Ovest ha accelerato la frammentazione del tessuto sociale e tribale e ha esacerbato i sentimenti di diffidenza e sospetto reciproco tra le tante anime della rivolta. Decine di gruppi armati, spesso espressione di singole città, se non di quartieri, si sono ripetutamente scontrati, oscillando fra il tentativo di ottenere una quota di potere più ampia e l’arroccamento nella difesa dei privilegi acquisiti dopo il 2011. Parallelamente, il processo diplomatico guidato dalle Nazioni Unite ha perso progressivamente vigore e incisività. La sigla dell’Accordo di Skhirat (dicembre 2015) e il successivo insediamento a Tripoli del Governo di Unità Nazionale (marzo 2016) hanno mostrato immediatamente tutti i loro limiti….”.
Di fronte a questo scenario, annota ancora l’analista del Ce.S.I, “finora la diplomazia ha dato priorità alla creazione di nuove istituzioni, in seno alle quali le parti avrebbero dovuto trovare, in un secondo tempo, un modus vivendi e accordarsi su un’equa ripartizione del potere. Le più recenti tensioni che hanno attraversato il Paese, pero?, indicano chiaramente che gli attori libici hanno come assoluta priorità garantirsi un adeguato accesso alle risorse dello Stato. La partecipazione nelle nuove istituzioni, cosi? come la ricerca di una forma di legittimità, sono visti soltanto come dei mezzi per raggiungere questo obiettivo. ..”. Il “Piano S” è, in questo scenario, un azzardo. Come la Conferenza di Palermo.