Uccisione del leader di Hamas in territorio Iraniano: “Atto terroristico o operazione militare ?”

di Annalisa Imparato

L’uccisione di Ismail Haniyeh, sessantaduenne, considerato il capo di Hamas, è un evento più delicato per lo scenario geopolitico del Medioriente prima ed internazionale poi, di quello che si possa pensare. Quelli che prima erano gli spettri di una guerra più ampia in Medio Oriente, dopo questo omicidio eccellente, ora si sono concretizzati, in quanto tutti gli analisti considerano tale evento estremamente umiliante per l’Iran. 

L’omicidio di Haniyeh, avvenuto nella sua residenza di Teheran, tramite un attacco aereo israeliano, si è verificato al termine della cerimonia dell’insediamento del neo Presidente dell’Iran, Pezeshkian Masoud.  Per prendere parte dunque alla cerimonia, Haniyeh era uscito a tutti gli effetti allo scoperto, sentendosi tutelato a casa di altri, ossia in Iran, ove le difese passive di questi ultimi hanno fallito.

Anche nel mondo della guerra ci sono delle regole non scritte e questo atto sicuramente ha leso un codice “deontologico”, che comunque esiste, perché un “capo”, che ha reso onore ad un invito Ufficiale di Stato, è stato ucciso a casa di altri, allorquando, quest’ultimo, non poteva avere -pienamente- la propria cornice di sicurezza. 

Israele, nell’immediato, non ha commentato la notizia, tuttavia questo atto era stato in modo più o meno chiaro preannunciato in seguito all’attacco del famigerato 7 ottobre 2023. 

L’assassinio del leader di Hamas minaccia di estendere il conflitto, non più una cornice regionale, ma areale, l’attacco a Teheran, difatti, potrebbe spingere l’Iran e Israele in un conflitto diretto, con conseguenze difficilmente preventivabili, qualora l’Iran dovesse decidere di vendicarsi, e tale eventualità non appare assolutamente remota. 

L’Ayatollah Ali Khamenei, in una dichiarazione tramite il suo sito ufficiale, ha così commentato il grave episodio “Consideriamo la sua vendetta come un nostro dovere”, ha aggiunto inoltre che “Israele ha ucciso un caro ospite nella nostra casa”. 

L’Iran -in tal modo- è stato a tutti gli effetti umiliato, un’umiliazione a livello globale, e non viene difficile pensare che quasi ci sia un obbligo di vendetta.

Khamenei ora ha un “obbligo” di non perdere credibilità agli occhi della Sua gente, lo stesso ha anticipato che la mossa israeliana ha spianato la strada per una “dura punizione” di Israele.

“Il regime criminale e terrorista sionista ha martirizzato il nostro caro ospite nella nostra casa e ci ha rattristati, ma ha creato un contesto per la sua dura punizione,” questo l’estratto delle dichiarazioni rilasciate al “Teheran Times” da Khamenei, il quale, quasi mitizzando la figura di Haniyah, ha aggiunto che quest’ultimo non ha mai temuto il martirio ed era preparato ad abbracciarlo per tutta la sua vita. “Ma in questo incidente amaro e difficile, avvenuto nel territorio della Repubblica Islamica, consideriamo nostro dovere vendicarlo,” ha continuato l’Ayatollah Khamenei.

Le parole del Presidente dell’Iran, rilasciate all’ “Islamic Republic News Agency”, ricalcano la stessa falsariga di quelle pronunciate dalla guida spirituale, “La Repubblica Islamica dell’Iran non rinuncerà agli sforzi per proteggere la propria integrità territoriale, sovranità, dignità e reputazione e il regime sionista vedrà presto i risultati del suo codardo atto terroristico,” ha detto Pezeshkian.

Ha aggiunto il Presidente che “il martire Haniyeh era un ospite ufficiale del presidente iraniano e del governo della Repubblica Islamica dell’Iran e si trovava a Teheran per partecipare alla cerimonia di inaugurazione presidenziale prima di essere assassinato”.

Il Presidente ha continuato affermando che “l’assassinio di Haniyeh da parte del regime israeliano è stata una mossa disperata per uscire da un’impasse a Gaza, dove sta conducendo una guerra brutale contro i palestinesi da più di nove mesi, e un tentativo di ripulire la sua storia oscura di commettere occupazione, terrorismo, discriminazione e massacro”.

Il mondo iraniano è unanime nella reazione, una figura autorevole quale Mohammad Baqer Qalibaf, presidente dell’Assemblea consultiva islamica, ha scritto sul suo account X: “Che la misericordia di Dio sia sul coraggioso leader della resistenza palestinese, combattente instancabile, saggio mentore, protettore della dignità della nazione palestinese in lotta e guardiano dei valori islamici, il martire di Al-Quds, Haj Ismail Haniyeh.”

Il presidente del Parlamento ha anche sottolineato che le due nazioni, Iran e Palestina, stanno vivendo questo grande lutto abbracciate: “Il paese islamico dell’Iran e il Fronte della Resistenza non risparmieranno il sangue del loro fratello martirizzato.”

In punto di diritto

Il difficile inquadramento giuridico di Hamas – non essendo uno Stato, bensì un partito politico riconducibile, secondo l’impostazione comunitaria, ad una organizzazione terroristica – rende difficoltosa l’applicazione del diritto internazionale umanitario noto come diritto internazionale dei conflitti armati, in quanto nel conflitto israelo-palestinese, lo status di molti dei partecipanti è indefinito.

E’ chiara la violazione del diritto internazionale umanitario da parte di Hamas, nel suo attacco del 7 ottobre 2023, i suoi membri siano resi colpevoli di crimini di guerra e crimini contro l’umanità: ma in che modo possiamo ritenere applicabile il diritto bellico nel rapporto tra Hamas ed Israele nell’ambito del conflitto? 

È un conflitto armato non internazionale – cioè, un conflitto tra uno Stato e gruppi non statali oppure tra gruppi all’interno dello stesso Stato – oppure un conflitto internazionale tra due Stati? 

Nel primo caso, seguendo la corretta impostazione che esclude il riconoscimento statuale all’organizzazione denominata Hamas, non si applicherebbero tutte le regole del diritto bellico nella loro interezza nei conflitti armati non internazionali: per esempio non si applicano le norme sui prigionieri di guerra con esclusione delle garanzie riservate allo status di prigionieri. 

Del resto, non potremmo ritenere Hamas controparte legittimata a rappresentare – e dunque tutelare – il popolo palestinese dall’invasione israeliana. Hamas è uno dei due partiti politici palestinesi, unitamente al OLP, non ha alcun riconoscimento per il diritto internazionale e, numerosi Stati – Usa, Unione Europea, Gran Bretagna – lo hanno inserito tra le organizzazioni terroristiche, condannandone gli attacchi militari. 

In questo quadro giuridico complesso e lacunoso come possiamo inquadrare, pertanto, un attacco subito dall’organizzazione Hamas? 

In termini generali lo ius ad bellum stabilisce che ogni Stato ha il diritto di difendersi se è attaccato secondo le regole sono indicate nella Carta delle Nazioni unite del 1945, applicabile in modo pedissequo nel solo caso in cui ad attaccare fosse uno Stato riconosciuto. Invero, oggi, grazie ad una interpretazione evolutiva e progressista della carta ONU – al fine di garantire pienezza ed effettività di tutela soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre del 2001 compiuti da Al Qaeda negli Stati Uniti –le norme internazionali e la loro interpretazione hanno iniziato a occuparsi anche dei casi in cui l’aggressore sia un attore non statale come Al Qaeda o come Hamas: il diritto di difendersi, quindi, spetterebbe anche in questa ipotesi. Il punto fondamentale però è che questa risposta deve evitare di coinvolgere i civili nei combattimenti.

Così, si è giustificata risposta militare di Israele contro Hamas, con piena legittimazione da parte della Comunità internazionale.  

L’attacco odierno, con l’uccisione del leader di Hamas – tra l’altro in un territorio diverso da quello palestinese – deve essere letto, sul piano giuridico, alla luce della normativa internazionale riportata seguendo l’interpretazione estensiva argomentata. Dunque, è un attacco terroristico di uno Stato, Israele, contro un leader politico riconosciuto dalla Palestina, dall’Iran, dalla Siria, dall’Egitto e dalla Turchia – da delegittimare sul piano internazionale – oppure è una risposta militare conforme alle originarie esigenze di difesa trattandosi del capo di una organizzazione terroristica? 

Spunti di riflessione

Da analista della materia, voglio condividere un’analisi, in chiusura del presente testo, su tre distinte aree tematiche: il programma nucleare iraniano, lo stato dell’arte per ciò che attiene la difesa e sicurezza dell’Iran, il punto di situazione delle relazioni internazionali facenti capo all’Iran.

Nel dettaglio, sul piano internazionale, il programma nucleare iraniano rimane il dossier più importante, da lungo tempo oggetto di controversie e tensioni diplomatiche. 

Le velleità nucleari dell’Iran hanno comportato l’applicazione di sanzioni economiche incrementali e il parziale isolamento internazionale del paese. In seguito al ritiro degli Stati Uniti dal joint comprehensive plan of action nel 2018, l’Iran ha ripreso il processo di arricchimento dell’uranio, ha ridotto la cooperazione con l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. 

L’amministrazione Biden ha tentato di tornare al tavolo negoziale con l’Iran, per il ripristino di un accordo delle disposizioni simili rispetto alla JCPOA, per il momento senza successo.

Il grave fatto delittuoso che si è verificato ha dimostrato una debolezza nella difesa e sicurezza iraniana, che ha messo in ridicolo -militarmente- l’intero paese. 

Va ricordato che le Forze Armate Iraniane sono caratterizzate da una particolare struttura bicefala, che vede coesistere le Forze Armate regolari, eredi delle vecchie strutture di epoca monarchica, e il Corpo delle Guardie della Rivoluzione Islamica -pasdaran-.

Le Forze Armate regolari hanno il compito di preservare l’indipendenza e tutelare l’integrità territoriale dello Stato, mentre i pasdaran sono deputati alla salvaguardia dei valori della rivoluzione Khomeinista. La forza aerea dei Pasdaran è deputata al controllo di una grande porzione della difesa aerea iraniana, tramite la gestione dell’arsenale dei missili Surface to Surface, a corto e medio raggio e dei missili terra area. 

Complessivamente secondo le stime dello US Central Command, l’Iran possiede almeno 20 diverse tipologie di sistemi missilistici e, da un punto di vista quantitativo, oltre 3000 missili balistici a corto, medio e lungo raggio.

L’Iran continua a produrre dunque avanzate tecnologie che l’avvicinano allo status di nuclear threshold state, cioè di paese che possiede sia le capacità tecniche sia materiali sufficienti per produrre l’arma nucleare.

Ciò che più conta è capire qual è il quadro delle relazioni internazionali che interessano i rapporti bilaterali e multilaterali dell’Iran. 

Sicuramente la relazione con gli Stati Uniti è quanto mai tesa e da questi giorni -prebellica- con Israele; l’Iran dal 2002 ha ristabilito i rapporti con gli Emirati Arabi, con il ripristino delle relazioni diplomatiche bilaterali. 

Sul piano regionale, la Siria rimane il principale alleato di Teheran L’Iran mantiene inoltre una presenza diretta o indiretta in molti dei paesi mediorientali, in Yemen e Iraq, quest’ultimo maggiormente influenzato dalla sfera d’ingerenza iraniana. 

Negli ultimi anni è emerso chiaramente, sul piano delle relazioni internazionali, il continuo rafforzamento del legame tra Iran, Cina e Russia, proprio la Cina rappresenta per l’Iran un partner economico di primo livello; con Mosca è in atto un’avanzata cooperazione in ambito militare, difatti bisogna ricordare, che nel 2022, l’Iran ha fornito droni da combattimento alla Russia impiegati nel conflitto in corso in Ucraina.

Dunque, per la situazione appena descritta, è facile comprendere come nel caso di una guerra diretta tra Iran e Israele le potenze a supporto rispettivamente potrebbero vedere il coinvolgimento alle loro spalle delle superpotenze in maniera più o meno celatamente dichiarata, allargando così il conflitto a livello globale.

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