(di Giovanni Ramunno) Il Preambolo della Carta onusiana riporta che i popoli delle Nazioni Unite, “decisi a salvare le future generazioni del flagello della guerra che per due volte nel corso di questa generazione ha portato indicibili afflizioni all’umanità“, costituirono l’Organizzazione delle Nazioni Unite.
Per fare questo, la Carta delle Nazioni Unite individuava, nel divieto della minaccia e dell’uso della forza di cui all’art. 2 par. 4; la legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato, di cui all’art. 51 e il sistema di sicurezza collettiva ad opera del Consiglio di Sicurezza, di cui al Capo VII della Carta stessa, i tre principi e strumenti fondamentali per mantenere la pace.
Un’azione militare, o addirittura una guerra, contro l’integrità territoriale e l’autonomia di governo di uno Stato straniero costituisce inequivocabilmente un illecito internazionale particolarmente grave tanto da meritare una qualifica ed un trattamento speciale nell’ambito del regime internazionale della responsabilità degli Stati ed è fermamente condannato dalla norma e dall’intero sistema della Carta.
La norma di cui all’art. 2 par. 4, divenuta pietra miliare di jus cogens e come tale valevole erga omnes, rappresenta dunque un vero e proprio diritto internazionale inderogabile e tale vincolo, in virtù del principio fissato nell’art. 103 della Carta stessa, prevale su tutti i diversi obblighi imposti da altri trattati internazionali.
Ancora, la minaccia e l’uso della forza, per la gravità della violazione, non si configura come un mero delitto internazionale ma come un vero e proprio crimine internazionale. Non vi sono dubbi sulla posizione giuridica della federazione russa e del suo Presidente che ricadono perfettamente nelle previsioni dell’art. 8 dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Nel merito, siamo in presenza di un atto di aggressione da parte di uno Stato; lo stesso viene formulato, riprendendo la disposizione dell’art. 1 della Risoluzione 3314 (XXIX) adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1974, come «l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato o in ogni altra maniera contraria alla Carta delle Nazioni Unite» che per «carattere, gravità e portata […] una manifesta violazione della Carta delle Nazioni Unite». Lo stesso crimine di aggressione dell’Ucraina, in secondo luogo, vede l’azione di un singolo autore che, conformemente alla definizione approvata, deve essere una persona «in grado di esercitare effettivamente il controllo o di dirigere l’azione politica o militare di uno Stato che ha commesso l’atto di aggressione»
Il diritto alla legittima difesa individuale e collettiva in caso di attacco armato (art. 51 della Carta) costituisce l’altro caposaldo del sistema delle NU; l’art. 51 esordisce, infatti, definendo il diritto di legittima difesa quale diritto naturale o intrinseco degli Stati (inherent right), rammentando che anche questa disposizione è ritenuta ormai inquadrata nella struttura del diritto internazionale cogente.
La stessa, in particolare, deve essere necessaria e proporzionale; in altre parole, l’azione deve essere intrapresa per poter resistere e respingere l’attacco armato e deve essere commisurata non solo all’attacco subito, ma soprattutto al fine che persegue, che è quello di ripristinare la situazione precedente l’attacco.
Il meccanismo dell’art. 51 prevede, inoltre, che l’azione di legittima difesa individuale e collettiva sia immediatamente comunicata al Consiglio di Sicurezza e poi cessi al momento in cui il Consiglio di Sicurezza adotta le misure necessarie per il mantenimento ed il ristabilimento della pace e della sicurezza internazionale.
Ovviamente, la legittima difesa ha natura difensiva e quindi essa va limitata all’adozione delle misure strettamente necessarie al ripristino della situazione di sicurezza dello Stato ed è altrettanto palese che si sia concretizzata un’urgenza della situazione, tale da richiedere l’immediata reazione dello Stato ucraino.
In tale quadro, si inseriscono gli artifizi retorici di alcune forze politiche europee che disquisiscono sulla natura delle armi e sulla liceità di un aiuto all’Ucraina in armamenti, malgrado l’evidenza del crimine di aggressione contemplato dallo Statuto di Roma e il grave stato di necessità in cui versa il Paese, trovandosi di fronte ad un “pericolo grave per l’esistenza dello Stato stesso, per il mantenimento del regolare funzionamento dei suoi servizi essenziali, per la salvaguardia della pacifica convivenza, per la sopravvivenza di una parte della sua popolazione, del suo territorio o di una parte di questo”.
Mi domando, ora che dovremmo sostenere un Paese che aspira ad associarsi all’Occidente democratico, dove fossero questi pacifisti di comodo quando ad esempio il nostro Paese si comprometteva vendendo armi ai dittatori più sanguinari del pianeta o nei fatti precisati con la sentenza emessa nel 1995 dalla Commissione europea sui diritti dell’uomo nella sentenza Tugar c. Italia.
Vorrei, comunque, rassicurare questi pacifisti di comodo che la fornitura di armamenti allo Stato ucraino ha le sue fondamenta sul Trattato internazionale sul commercio delle armi, adottando la risoluzione tramite voto dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 2 aprile 2013 ed entrato in vigore il 14 dicembre 2014; e che l’Italia lo ha ratificato per primo fra quelli dell’Unione Europea, attribuendo allo stesso “… un ruolo fondamentale non solo per la regolamentazione del commercio delle armi, ma anche per la promozione del rispetto dei diritti umani”. Anche l’UE ha deciso di attenersi alle disposizioni del Trattato de quo, con l’obiettivo di supportare manu militari l’Ucraina, vittima dell’aggressione russa attraverso l’adozione di due decisioni.
La lettura attenta del Trattato, peraltro, non prevede la distinzione fra armi difensive e offensive. L’art. 2, in particolare, ricomprende le categorie di armi convenzionali fra cui esplicita i carri armati, sistemi di artiglieria di grosso calibro, aerei da combattimento Elicotteri d’assalto, navi da guerra e missili e relativi lanciatori.
Alcuni Stati occidentali, come la Gran Bretagna, hanno fornito armi-anticarro leggere difensive per una potenziale invasione russa, rammentando, come ha affermato il Segretario alla Difesa Ben Wallace dinanzi al Parlamento inglese, che «non sono armi strategiche e non rappresentano una minaccia per la Russia, ma solo per autodifesa».
Sembra quasi che le posizioni di alcuni politici italiani e d’Oltralpe vogliano porre gli ucraini in condizioni di difendersi … ma non troppo, assecondando le volontà di un autocrate sarmatico che, nelle parole di Khalil Gibran, difende i torti che infligge con più vigore dei suoi diritti.