(Vincenzo Cimmini Gruppo Green Holding) La capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie e interagire in modo costruttivo con gli altri. Questa la definizione di intelligenza emotiva fornita Daniel Goleman, l’inventore di questo concetto lanciato alla metà degli anni ’90 in un libro diventato best seller che ha condizionato in positivo psicologia, insegnamento e le teoria della leadership aziendale. Goleman sarà a Milano a fine ottobre al prossimo World Business Forum. per parlare delle competenze che occorrono per sviluppare il self management ed ottenere alte prestazioni, del potere dell’autoconsapevolezza come base dello sviluppo professionale, del modo in cui diventare leader di successo sviluppando le relazioni interpersonali. Partendo ovviamente dal concetto base di intelligenza emotiva o EQ. «Dopo oltre vent’anni – afferma Goleman – continuo a trovare articoli, anche su testate autorevoli, che dicono che l’intelligenza emotiva è essere simpatici, o gentili, o empatici, o addirittura valorizzare la propria parte femminile. Non è vero che le donne hanno EQ più alta, e non c’è una prevalenza di genere nei top performer» Il merito di Goleman è stato quello di smarcare una leadership di successo dalle sole competenze tecniche eccellenti e da un alto quoziente intellettivo. Occorre qualcosa di più, ossia quella componente irrazionale, l’intelligenza emotiva. Un insieme di capacità che permettono di conoscere e controllare noi stessi, di saper coinvolgere gli altri dimostrando propensione alla comprensione. Nella leadership di successo ci sono due componenti: la prima rimanda all’interno, un vero leader è in grado innanzitutto di gestire bene se stesso, sapendo dirigere le emozioni spiacevoli o contrastanti,rimanendo focalizzato sui target durante le crisi, poter contare su un forte spirito di adattamento. La seconda componente riguarda l’esterno, la giusta empatia con le altre persone del team, creando unclima armonioso e comprensivo degli stati d’animo degli altri, delle loro opinioni sull’esperienza che si sta condividendo con loro, la capacità di risolvere conflitti, trasmettendo interesse per la loro dimensione. Solo così il leader otterrà il massimo dal suo team. Illuminanti le parole di Goleman pronunciate al Wolrd Business Forum di un anno fa a Sydney: «Recentemente ho incontrato il CEO di BlackRock, il più grande fondo d’investimento del mondo, che gestisce migliaia di miliardi. Mi ha chiesto di spiegargli perché pur assumendo i più brillanti studenti delle migliori business school, le curve di performance nel suo staff rimangono “a campana”, cioè assolutamente nella media. Gli ho risposto che la ricetta giusta non è assumere i “migliori” in assoluto, ma guardare nella propria azienda chi occupa la posizione per cui si sta facendo la ricerca, o l’ha occupata in passato, individuare il 10% di top performer e confrontarli con gli average performer, e scovare le abilità e competenze che i top performer hanno, e gli average performer non hanno. Si chiama “competence modeling”. Molte aziende la applicano, specialmente per selezionare il top management. Ho avuto accesso ai dati di oltre 200 di questi processi di selezione, e ho riscontrato che, per incarichi di tutti i tipi, gli skill EQ sono due volte più importanti di quelli tecnici o dell’IQ. Gli skill tecnici li si può imparare a scuola, li possono avere tutti. Ma più sali in alto nella gerarchia organizzativa, più sarà importante l’intelligenza emotiva. Tra i C-Level, l’85% delle competenze che distinguono i top performer sono di EQ. Sono dati che non ho rilevato io, ma le stesse aziende. Un C-Level non usa più gli skill tecnici. Quello che fa per gran parte del tempo è gestire le persone, oltre che se stesso». Secondo Goleman la leaderhip è una vera e propria arte che dipende innanzitutto dalla qualità del lavoro altrui. Bisogna cercare infatti di mantenere le persone nella fascia più alta dei livelli di performance e per farlo quelle stesse persone devono trovarsi nel miglior stato di benessere personale. « È uno stato ottimale che si chiama Flow, in cui la persona stessa rimane stupita dei risultati che ottiene, e definito attraverso ricerche sui professionisti più diversi, dalle ballerine ai giocatori di scacchi, dai top manager ai militari. C’è uno stato di attenzione irremovibile sull’obiettivo. Focalizzazione al 100%. Poi troviamo la totale flessibilità: qualunque cosa succeda, si è in grado di gestirla. Le competenze personali poi sono messe alla prova al loro massimo livello, a volte anche oltre. Insomma, si dà il massimo quando ci si sente al massimo». È lo stesso Goleman a suggerire come si può creare questa situazione ideale: « Un modo è stabilire chiare regole e obiettivi, ma lasciare una certa flessibilità sul modo di raggiungerli. Un altro è il feedback immediato, ossia mantenere le persone costantemente aggiornate su quanto bene stanno perseguendo l’obiettivo. La terza è mettere alla prova e far crescere le loro competenze, e cercare di far coincidere quello che le persone sanno fare con i compiti loro assegnati. C’è una zona del cervello che funziona come un “radar neurale”, cerca di capire cosa succede nel cervello dell’altra persona e stabilisce con esso una comunicazione che va al di là della comunicazione verbale. Sono i neuroni specchio, scoperti in Italia, che creano un ponte tra cervello e cervello, un ponte che comunica emozioni, sentimenti, intenzioni. Ecco perché le emozioni sono contagiose, e perché la natura umana porta a dare grande attenzione e importanza a quello che il leader del gruppo fa e dice. Il leader è il determinante: sia del meglio, sia del peggio.
Gestire lo “stato emozionale” delle persone è estremamente importante, dal top management al front end, cioè i punti di contatto tra azienda e mercato. Chiunque nell’azienda sia l’interfaccia con i clienti, infatti, ha il potere di “far stare bene” il cliente. E se il cliente “sta bene” non è ben disposto solo verso la persona che fa da interfaccia: è ben disposto verso la vostra azienda».