Il poeta John Ashbery è morto all’età di 90 anni. Nato a Rochester, nello stato di New York nel 1927, ha all’attivo più di venti raccolte di poesia ed è considerato, anche da Harold Bloom tra gli altri, il più celebre e importante poeta americano vivente. Esponente della “Scuola di New York”, insieme ad autori come Kenneth Koch e Frank O’Hara, ha esordito nel 1956 con la raccolta Some Trees (Certi Alberi). Da allora ha pubblicato con una frequenza e una costanza che non hanno paragoni nella storia recente, sicuramente non in quella americana.
Nel 1976 si è aggiudicato il premio Pulitzer con “Autoritratto di uno specchio convesso”.
In un’intervista rilasciata a Meghan O’Rourke della rivista Slate, nel 2005, John Ashbery dichiara di avere sempre ricercato un genere di poesia che sia il più possibile challenging, una poesia «di cui la critica non può parlare», che sfugga al tentativo di interpretazione conclusiva, che costringa a mettere da parte tutte le certezze, per lasciare il lettore sempre fuori equilibrio, spiazzato ed estasiato. La poesia di Ashbery rappresenta una sfida sempre aperta e sempre avvincente; apre interrogativi ai quali non sembra disposta a rispondere, porta alla luce paure mai assopite e gioie mai consumate, lascia dietro di sé spazi vuoti, note stonate, problemi irrisolti. Eppure, alla fine, sembra sempre che tutto torni, che ogni testo sia un universo perfetto nella sua imperfezione, sembra che la sua stessa possibilità di esistere poggi sull’alternanza tra oscurità e lampi di luce, tra senso e non senso.
Gran parte della fortuna di John Ashbery dipende proprio da questa sua capacita di stupire, dall’abilità di rinnovarsi all’infinito senza mai rinunciare ai suoi tratti liminari, agli elementi essenziali del suo stile. Joseph Harrison nell’introduzione all’antologia di Sossella individua proprio in questa caratteristica la straordinarietà dell’opera di Ashbery; perché a essere straordinario non è il fatto di raggiungere risultati all’avanguardia, ma il fatto di rimanere all’avanguardia per oltre un cinquantennio. Il fatto di apparire costantemente «diverso», senza mai cambiare davvero.
John Ashbery era stato tra i candidati del premio Nobel per la letteratura.