di Antonio Adriano Giancane
Sono trascorse ormai tre settimane dalle elezioni in Venezuela, e il clima politico nel paese si fa sempre più teso e caotico. Il presidente Nicolás Maduro, autoproclamatosi vincitore della tornata elettorale, non ha ancora reso pubblici i dati ufficiali che dovrebbero confermare il risultato, nonostante le promesse fatte ai cittadini. Questa mancata trasparenza ha sollevato gravi dubbi sulla legittimità del voto e ha innescato proteste di massa in tutto il paese.
Migliaia di cittadini sono scesi in piazza per contestare i risultati elettorali e chiedere chiarezza. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, sono rapidamente degenerate in scontri violenti tra manifestanti e forze dell’ordine, con un bilancio preoccupante di feriti e arresti. La situazione appare fuori controllo, e il rischio di una escalation della violenza è sempre più concreto.
Maduro, dal canto suo, rimane fermo nella sua posizione, determinato a non cedere alle crescenti pressioni interne e internazionali che chiedono prove concrete della sua presunta vittoria. Il governo ha puntato su una strategia di temporeggiamento, affidando alla Corte Suprema di Giustizia, controllata dal partito al potere, il compito di risolvere la controversia. Tuttavia, molti osservatori ritengono che la crisi avrebbe potuto essere evitata fin dall’inizio se i verbali elettorali fossero stati resi pubblici subito dopo il voto.
In questo contesto, l’opposizione ha preso l’iniziativa, pubblicando online oltre l’80% dei risultati ufficiali in suo possesso. Secondo questi dati, il candidato dell’opposizione, Edmundo González, avrebbe ottenuto il 67% dei voti, contro il 30% di Maduro. Questi numeri, se confermati, ribalterebbero completamente la narrazione offerta dal governo e getterebbero ulteriore benzina sul fuoco delle proteste.
Non è la prima volta che il governo venezuelano ricorre a tattiche dilatorie per mantenere il controllo della situazione. Tra le strategie messe in atto ci sono l’uso di un regime di terrore, basato su arresti e persecuzioni, per scoraggiare qualsiasi forma di dissenso; la divisione all’interno dell’opposizione; e l’indebolimento della comunità internazionale, che ha visto Maduro ignorare persino le critiche dei suoi vecchi alleati, come il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva e il presidente colombiano Gustavo Petro.
Di fronte a questa crisi, entrambi i governi sudamericani hanno proposto soluzioni per superare l’impasse, suggerendo nuove elezioni o la formazione di un governo di coalizione di transizione. Tuttavia, la priorità assoluta, secondo molti osservatori, è quella di porre fine alla repressione e alla persecuzione dei leader dell’opposizione e dei cittadini che hanno manifestato contro le irregolarità elettorali.
La mancanza di trasparenza, denunciata dalla maggior parte dei paesi democratici, ha ulteriormente aggravato una crisi politica che sta peggiorando la già drammatica situazione economica e sociale del Venezuela. La popolazione, sempre più esasperata dalla carenza di beni di prima necessità e dalla repressione delle libertà civili, teme che la violenza possa sfociare in una crisi umanitaria su larga scala. Il futuro del paese appare incerto e carico di minacce.
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