Come al solito in Italia di fronte ad un’indagine in corso su un fatto importante, si cerca di minimizzare l’accaduto. Il vicepremier Di Maio non crede alla pista russa e liquida la questione come fake news. «C’è bisogno dei russi per fare 8 account e 1000 tweet? A me la vera fake news sembra quella che parla delle fake news». Considerazioni che Carmelo Miceli, deputato Pd, definisce «vergognose perché bollano come inutile una indagine della magistratura. Di Maio faccia uno sforzo per recuperare un minimo di senso delle istituzioni».
La vicenda riguarda la campagna massiva a colpi di tweet che ha interessato nella notte tra il 27 e 28 maggio la politica italiana alle prese con la formazione del governo dopo due mesi di stallo istituzionale, in seguito al voto 4 marzo 2018.
L’hashtag #mattarelladimettiti che in quella notte ha invaso la rete, secondo le indagini in corso, sarebbe la mistificazione di una regia unica che avrebbe fatto partire l’attacco da 8 città italiane, attraverso le 9 porte di accesso identificate, 2 da Milano, Torino, Udine, Padova a Firenze, Bari, Roma e Olbia.
I profili interessati su Twitter, appartengono a italiani del tutto ignari, che erano stati usati anche dalla Internet Research Agency (Ira) di San Pietroburgo per far filtrare nel nostro Paese la propria propaganda a favore dei partiti populisti, dei sovranisti e degli anti-europei, ma anche per condizionare in italiano le presidenziali Usa. Questa preziosa indicazione uscì fuori dalle conclusioni dell’analisi a campione di circa due terzi dell’enorme banca dati sull’attività dell’Ira pubblicata di recente dal sito americano ‘Firethirtyeight’. I dati, quasi tre milioni di tweet, sono parte dell’archivio studiato dal procuratore speciale Robert Mueller, che indaga sulle interferenze russe nelle presidenziali del 2016 e nella politica americana in genere. Altro dato importante è che alcuni profili Twitter italiani utilizzati nel maggio scorso per l’attacco risultano ancora attivi. “L’analisi del traffico e dei contenuti effettuata in queste ore dagli specialisti della polizia Postale e dell’intelligence dimostra che questi account continuano a monitorare quanto accade nel dibattito politico utilizzando lo stesso hashtag #mattarelladimettiti. La procura di Roma ha deciso di intraprendere tutte le azioni necessarie, iniziando con una rogatoria a San Francisco, sede di Twitter per conoscere i dettagli dei profili posti sotto la lente d’ingrandimento. Solo twitter, infatti, conosce da dove è realmente partito l’attacco, che ha utilizzato, ma solo come facciata, server estoni e israeliani, e sarebbe, invece, riconducibile ad una mano italiana. In attesa di una risposta, non scontata, la polizia postale proverà a identificare la regia che ha creato i profili.
Sputnik Italia, agenzia molto vicino al Cremlino, ha rilanciato la tesi dell’esperto Mikhail Friben: “Probabilmente una parte è stata messa a punto nel nostro Paese o sottratta, ma di questo si sono occupate società private e non lo Stato“. Mikhail Friben è un noto esperto del Centro di informazione e di analisi degli Urali, a Ekaterinburg. Quanto riportato da Sputnik, tuttavia, non convince Intelligence e Polizia postale perché ancora non sono state trovate prove che “alcuni” italiani abbiano fatto ricorso ad una società privata russa. Gli inquirenti italiani, invece, sospettano che si tratti di una sorta di controinformazione per portare la verità lontano dalla realtà. L’ipotesi che ha riportato Sputnik che per motivi di costi, alcuni italiani si sarebbero rivolti a società private russe specializzate non è ritenuta credibile dai nostri 007.
Sputnik Italia ha così argomentato, “la Russia non si è intromessa nelle elezioni italiane e non ha trollato Mattarella” e lo fa spiegare a Friben, un esperto di cybersecurity che subito evidenzia, ” non è la prima volta che lavori ”occidentali” vengano dati ad esperti russi solo perché hanno un basso costo. L’utilizzo di società private russe a basso costo non indica che ci sia la regia del Cremlino”. Poi rincara la dose e dice, “supporre che tutti gli account bannati fossero russi è un’ipotesi eccessivamente grossolana. Molto probabilmente una parte degli account è stata messa a punto in Russia o sottratta dal Paese, ma di questo si sono occupate società private. In Russia questa attività costa meno e conosco alcune società con uffici in Russia che lavorano solo con l’estero. Hanno profili account Facebook e Twitter in inglese e si occupano della promozione del loro marchio. Penso che, se ci si rivolgesse a loro per la promozione di idee politiche, sarebbero d’accordo. Chiaramente, lo farebbero per una ricompensa più alta. Ma queste persone non sono legate in alcun modo con il governo. Inoltre, queste persone non amano particolarmente la Russia e vorrebbero andarsene ma non hanno abbastanza soldi per farlo”. Al riguardo ha sostenuto questa tesi anche Andrey Masalovic, presidente del consorzio Inforus, dicendo che “la recente data di creazione degli account che avrebbero “attaccato” Mattarella non costituisce una traccia riconducibile alla Russia. Si tratta solo di bot relativi a quell’unico attacco. È molto più semplice e altamente tecnologico comprare bot già pronti o creare un incubatore di bot. L’esempio riportato della creazione di appositi account per “attaccare” Mattarella segnala un
approccio non professionale ed è vergognoso che in tal caso si punti il dito contro la Russia. La prova schiacciante è data dal fatto che “influencer statali” avrebbero lavorato con maggiore professionalità”.
Insomma, come visto, tutte le tesi sembrerebbero verosimili e solo l’esito delle indagini in corso, semmai termineranno, potrebbe chiarirci le idee.