Washington: la NATO puntella gli stanziamenti all’Ucraina con nuove prospettive per l’ingresso nell’Alleanza

di Emanuela Ricci

Non sarà un finanziamento vincolante e con cadenza annuale che il segretario uscente della Nato Jens Stoltenberg aveva auspicato, ma piuttosto un impegno politico “flessibile”. Questa è la formula di compromesso raggiunta al 75esimo vertice Nato, inaugurato ieri pomeriggio a Washington, che segna un passo avanti significativo e un forte segnale politico di sostegno all’Ucraina, specialmente dopo il recente attacco missilistico russo contro un ospedale pediatrico oncologico a Kiev. L’Alleanza Atlantica ha, infatti, deciso di destinare 40 miliardi di dollari per il prossimo anno in aiuti militari a Kiev. Non è ancora chiaro se l’impegno verrà mantenuto anche per gli anni a venire. Altra questione è l’ingresso dell’Ucraina nella NATO, quale 33simo membro effettivo, dopo i recenti ingressi di Finlandia (2023) e Svezia (2024). Non vi è ancora una data ma la discussione tra gli sherpa ha riguardato l’aggettivo “irreversibile” da aggiungere dopo “processo di adesione dell’Ucraina” nel comunicato finale del vertice.

Sulla decisione di stanziare 40 miliardi di dollari (20 mld a carico degli Usa e 20 per l’UE) l’Italia aveva espresso, mesi fa, alcune riserve tramite le affermazioni del ministro della Difesa Guido Crosetto. Il capo della Difesa italiana aveva sottolineato le evidenti difficoltà a raggiungere il 2% del PIL in spese per la Difesa, dimostrando disaccordo agli ulteriori stanziamenti proposti dal Segretario Generale della NATO Jean Stoltenberg. L’idea del ministro della Difesa italiano è quella di spingere il Mef, in sede UE, a far scorporare le spese del dicastero dal computo del bilancio ordinario per non intaccare i parametri “vincolanti” del Patto di Stabilità. Secondo quanto prevede il Patto di Stabilità, gli Stati parte dell’Eurozona devono rispettare due parametri relativi al bilancio dello Stato, cioè avere un deficit pubblico non superiore al 3% del PIL e un debito pubblico al di sotto del 60% del PIL, o comunque tendente al rientro.  Il rientro italiano dichiarato avverrebbe gradualmente entro il 2028.

Infatti a Washington, in queste ore, gli addetti ai lavori, in riferimento all’esoso stanziamento, hanno proposto di sostituire alla parola “decisione” il termine “political pledge”. Una formula che sostiene l’impegno politico piuttosto che un impegno vincolante al pagamento della quota parte nazionale. Questa proposta ha trovato il sostegno di diversi paesi europei e, soprattutto, degli Stati Uniti, preoccupati di garantire un sostegno continuo all’Ucraina, anche nel caso di un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.

All’Italia toccherà contribuire con 1,7 miliardi di dollari per l’anno 2025, una cifra superiore a quella versata a Kiev dall’inizio della guerra (circa 1,2 miliardi di euro). Un impegno gravoso, considerate le limitate risorse di bilancio del Paese. Tuttavia, grazie agli sforzi di Crosetto e Palazzo Chigi, è stata ottenuta una certa flessibilità, permettendo all’Italia di contribuire anche con sistemi d’arma, addestramento etc.

L’Italia, infatti, è tra i cinque Paesi (Usa, Germania, Romania e Olanda) che hanno comunicato, durante il vertice, l’imminente consegna all’Ucraina di nuove batterie per la difesa antiaerea. Molto probabilmente il nostro Paese donerà l’avanzatissimo sistema italo-francese Samp-T, evidenziando però la necessità per la nostra difesa nazionale di approviggionarsi di ulteriori analoghi sistemi per sopperire alle carenze, visto che di batterie Samp-T l’Italia ne possiede soltanto cinque. Di recente la Difesa ha dovuto ritirare le batterie dalla base NATO in Slovacchia (sostituite dai sistemi Patriot americani) e dalla base della Task Force Air in Kuwait, per scopi di manutenzione e successivo impiego al G7 in Puglia e al prossimo Giubileo.

Contrario alla linea del governo, sembra un paradosso, il vicepremier Matteo Salvini che ha recentemente dichiarato: “Più armi si inviano all’Ucraina e più la guerra andrà avanti”. Salvini con la sua Lega ha recentemente aderito al nuovo gruppo dei Patriori formato dal Fidesz di Viktor Orbán e dal Rassemblement National di Marine Le Pen. Ironia della sorte come vice presidente del neo gruppo apparentemente “filo putiniano”, il generale Roberto Vannacci.

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