La decisione di Meta di sospendere il fact-checking su Facebook e Instagram negli Stati Uniti rappresenta un cambiamento significativo e potenzialmente epocale nel panorama della comunicazione digitale. L’annuncio di Mark Zuckerberg arriva in un contesto politico e culturale molto delicato, appena dopo le elezioni del 5 novembre, definite dallo stesso fondatore di Meta come un «punto di svolta culturale». La mossa, che per ora riguarda solo il territorio statunitense, segna un passo indietro rispetto alle politiche restrittive che la compagnia aveva adottato negli ultimi anni per combattere la disinformazione e limitare la diffusione di fake news.
Secondo Zuckerberg, la vittoria di Donald Trump rappresenta un segnale chiaro della volontà degli americani di privilegiare la libertà di espressione, anche a costo di sacrificare il controllo sulla veridicità delle informazioni condivise online. In un discorso che ha suscitato polemiche, Zuckerberg ha dichiarato che «il prezzo da pagare per garantire la libertà di espressione è riaprire la porta a possibili distorsioni del processo democratico». Questa dichiarazione segna un cambio di rotta rispetto all’approccio adottato dopo lo scandalo Cambridge Analytica del 2016, quando Facebook si trovò al centro di polemiche per il ruolo giocato nella manipolazione dell’opinione pubblica, durante le elezioni presidenziali statunitensi.
Nel corso degli anni, il social network aveva implementato una serie di misure per contrastare la disinformazione, tra cui il bando di Trump stesso dopo l’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021. Tuttavia, Zuckerberg ha ora ammesso che quelle politiche erano «troppo restrittive» e «prone ad essere applicate con severità eccessiva». Con l’appoggio del nuovo responsabile delle politiche globali di Meta, Joel Kaplan, che in passato aveva lavorato per Trump, è stata annunciata una marcia indietro definitiva: il fact-checking professionale verrà abbandonato, e il compito di segnalare contenuti potenzialmente falsi sarà affidato agli utenti stessi, attraverso un sistema di “community notes” simile a quello adottato da X.
Elon Musk, che ha già implementato questo modello sulla sua piattaforma, ha accolto con entusiasmo la decisione di Meta, sottolineando che si tratta di un ulteriore passo verso una maggiore libertà online. Zuckerberg ha giustificato la scelta parlando di un “trade-off”: sacrificare il controllo sulla disinformazione per ridurre il rischio di bloccare erroneamente account o post di utenti innocenti. «Significa che scopriremo meno contenuti dannosi, ma ridurremo il numero di persone innocenti i cui post e account sono stati accidentalmente bloccati», ha spiegato.
Le critiche non si sono fatte attendere, soprattutto da parte dell’Unione Europea, che Zuckerberg ha accusato di promuovere leggi «che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione».
Il dibattito attorno alla decisione di Zuckerberg si inserisce in un quadro più ampio di tensioni geopolitiche e culturali legate al controllo delle informazioni online. Se da un lato Meta sostiene che questa scelta rappresenti un ritorno ai valori fondamentali della libertà di espressione, dall’altro molti osservatori sottolineano i rischi di lasciare le piattaforme digitali senza controlli professionali. La disinformazione non è solo un danno collaterale della libertà di espressione, ma una strategia deliberata utilizzata da governi, organizzazioni politiche e altri attori per manipolare l’opinione pubblica e influenzare i processi democratici. Le inchieste condotte negli ultimi anni da intelligence e magistratura in diversi Paesi hanno dimostrato che campagne di disinformazione, spesso orchestrate da attori statali come la Russia, sono state utilizzate per destabilizzare elezioni e promuovere divisioni sociali.
L’abbandono del fact-checking professionale da parte di Meta rischia di riaprire le porte a queste dinamiche, con potenziali conseguenze devastanti per la qualità del dibattito pubblico e la salute delle democrazie occidentali. Le “community notes” affidano agli utenti la responsabilità di monitorare la veridicità delle informazioni, ma il sistema presuppone che essi siano in grado e abbiano il tempo di farlo in modo imparziale ed efficace, un’assunzione che molti ritengono irrealistica. Inoltre, il modello adottato da X ha già mostrato i suoi limiti, con note che spesso riflettono pregiudizi politici o informazioni incomplete.
La decisione di Zuckerberg potrebbe avere ripercussioni significative non solo negli Stati Uniti, ma anche a livello globale. Nonostante l’annuncio riguardi per ora solo il mercato americano, è probabile che un eventuale successo del nuovo modello spinga Meta a estenderlo ad altri Paesi. Questo scenario pone interrogativi importanti sulle responsabilità delle grandi piattaforme digitali nel garantire un’informazione accurata e sulla necessità di un equilibrio tra libertà di espressione e tutela del processo democratico.
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